Su richiesta delle prof.sse Natascia Bobbo e Marisa Musaio, segnaliamo la Call for Paper per la Rivista “JHCEinP – Journal of Health Care Education in Practice” sul tema “Ritrovare la pratica educativa della parola come strumento per ‘leggere’ e aiutare le fragilità”.
Nell’anno in cui ricorre il centenario dalla nascita di don Lorenzo Milani, due sue lezioni forse in parte dimenticate, intrinsecamente connesse, si stagliano tra le altre per la loro piena attualità: da una parte l’importanza della parola come agente di liberazione della persona, dall’altra l’idea di educazione come azione direttiva nei confronti di un educando o studente, un’educazione cioè orientata da una intenzionalità chiara e ferma (Mayo, 2007).
Don Milani, come Paulo Freire, riteneva che l’educando non potesse essere lasciato a sé stesso nel conoscersi e conoscere gli altri, che non si dovesse per forza assecondare la sua distraibilità di bambino, di ragazzo. Il priore di Barbiana era conosciuto per il suo carattere veemente ed impetuoso che contaminava spesso in modo fecondo il suo atteggiamento educativo. Egli aveva scelto in modo consapevole di essere un educatore di questo tipo, poiché sapeva che la responsabilità è in carico all’educatore, cioè a quell’adulto che molto più di un bambino o di un ragazzo, è in grado di comprendere come nel nostro mondo vi sia una connessione inscindibile tra conoscenza e potere, e quindi, come per ogni bambino o ragazzo l’impegno nello studio, gli apprendimenti potessero divenire fattori discriminanti la qualità della vita futura di un educando.
Tra i tanti argomenti, tra le tante materie di studio, un elemento spiccava tra gli altri secondo il priore di Barbiana: la parola come capacità di scrivere e leggere, di esprimere il proprio pensiero, di comprendere quello degli altri, in una lingua italiana (o qualsiasi altra, inglese, francese, etc.) che potesse essere appresa ed impiegata in modo corretto dal punto di vista grammaticale e sintattico, e con grande proprietà di linguaggio e lessico. Ciò avrebbe consentito ad ogni bambino, e all’adulto che sarebbe diventato, di aprire lo sguardo oltre il proprio personale orizzonte di bisogni, verso un più ampio sentire proiettato verso i suoi diritti e doveri come cittadino del mondo (Freire, Macedo, 2005).
Visti i dati recenti relativi ad un analfabetismo funzionale piuttosto diffuso, si crede sia doveroso chiedersi quanto nelle nostre scuole, nelle nostre università, la parola come testo scritto e parlato in una lingua condivisa, corretta formalmente e connotata da una semantica ampia e variegata, sia ancora riconosciuta come obiettivo essenziale ed irrinunciabile di apprendimento, al di là dei diversi indirizzi scolastici o dai diversi corsi di laurea. Dall’altra parte, si nota nella nostra scuola, così come nelle nostre università un senso di ‘morbidezza’ nei confronti di risultati deludenti così come di un impegno che appare spesso discontinuo da parte tanto di bambini quanto di adolescenti e giovani, che diviene spesso strategia di risposta allo stato di fragilità diffusa da un punto di vista psicologico e identitario che connota i nostri giovani.
Tuttavia, in alcuni casi, tale morbidezza assume per altro le forme di un atteggiamento difensivo che si fa rinuncia da parte dell’adulto con responsabilità educativa, talvolta per paura di problemi legali o aggressioni fisiche da parte di studenti o famiglie che sostituiscono agli strumenti dialogici le reazioni enattive (Barone, 2009). Educazione direttiva e educazione alla parola, alla lingua possono intersecarsi, seguendo la lezione di Don Milani, pensando alla parola, al dialogo argomentativo, alla lettura e alla scrittura, intese come abilità acquisite, possedute ed espresse con naturalezza, come strumenti mediante i quali ogni studente potrebbe avvicinarsi alla cultura della sua comunità, per trovare un posto ai significati che egli stesso sta maturando rispetto al sé, agli altri, al mondo (Winnicott, 1971), al senso della sua vita in nome di un progetto esistenziale che possa preservarlo dalla propria fragilità (Frankl, 2012).
Consapevoli dell’enorme complessità delle questioni in campo, della loro in parte poca popolarità tra insegnanti e educatori oppressi da realtà dove le risorse economiche ed umane sono sempre meno rispetto a quanto sia auspicabile e doveroso, siamo a proporre una call su questi temi, risultando per noi evidente come la lezione di Don Milani e la sua testimonianza di vita nella scuola di Barbiana, siano ancora per noi oggi occasioni di riflessione e apprendimento come educatori.
Si propongono agli autori interessati le seguenti scadenze:
- invio di un abstract (max 1000 caratteri spazi inclusi) entro il 20.06.2023
- invio del contributo (previa accettazione dell’abstract) entro e non oltre il 30.09.2023.
Per ulteriori approfondimenti https://jhce.padovauniversitypress.it/
L’invio degli abstract è da effettuarsi presso: hcep.fisppa@unipd.it