Il grado di civiltà di una comunità si misura innanzitutto dall’attenzione per l’educazione dei giovani. Attenzione che si misura in risorse destinate alle scuole perché bambini e bambine, ragazzi e ragazzi vivano il tempo dedicato alla formazione in ambienti belli e sani, e innanzitutto con docenti qualificati. Un docente è in grado di attivare un buon processo di formazione se a sua volta ha ricevuto una formazione adeguata. Non è sufficiente possedere competenze culturale disciplinari (matematica o storia, lettere o scienze, chimica o latino) ma occorre anche sapere come insegnare: come gestire un contesto di apprendimento, come stabilire una buona comunicazione, come costruire un curricolo in modo da favorire l’apprendimento dei studenti, come valutare. E anche queste abilità necessarie non sono tuttavia sufficienti. Al docente è chiesto di attivare processi di inclusione, di riconoscere e gestire situazioni di disagio che possono arrivare a mettere in crisi la vita della classe, di costruire buoni rapporti con le famiglie perché senza alleanza con i genitori il processo educativo della scuola ha poche possibilità di riuscire. Non ultimo, anzi di assoluta necessità, sono le competenze necessarie a fare della scuola un luogo dove si apprendono non solo le “materie” ma si impara a diventare cittadini responsabili, capaci di pensiero critico, di solidarietà e di impegno civico.
È allora sufficiente acquisire una laurea, senza aver sostenuto esami di carattere pedagogico, didattico e psicologico, per insegnare a preadolescenti ed adolescenti o non è davvero necessario prevedere un percorso adeguato di formazione a insegnare?
Possiamo certo discutere la Buona scuola (cosa che abbiamo già fatto più volte criticamente), ma non il principio che per insegnare occorrano competenze pedagogico-didattiche, oltre a quelle disciplinari, per il bene delle giovani generazioni.
Il Direttivo Siped e Luigina Mortari, delegata per la formazione docenti